Quel che ho imparato a Identità Golose 2015

Tre giorni intensi e un quadernino pieno zeppo di appunti, concetti, spunti di riflessione. Perché è proprio questo che un convegno ben organizzato deve lasciarti. Oltre alla voglia di sdoppiarti per poter essere presente contemporaneamente in più sale per ascoltare, imparare e assorbire di più.

Ora, siccome potrei scrivere un post di uno spessore – figurativo – pari a quello – fisico – della Treccani, cercherò di essere rapida e concisa.

No, non ridere, che lo sappiamo già tutti che parlo troppo. Giuro che stavolta cercherò di essere super concentrata. Perché quello che voglio trasmettere, a mia volta, è l’essenza più vera di ciò che tanti professionisti hanno estrapolato dal loro duro lavoro quotidiano. E non serve perdersi in mille parole quando i concetti sono chiari e importanti.

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Ecco il mio, personalissimo, the best of  Identità Golose 2015. Un concetto per ciascuno degli interventi a cui ho assistito:

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  • Naturalitè. “Il cuoco deve trattare il prodotto con responsabilità e la potenza delle sue scelte deve essere orientata all’ambiente. Tornare alla terra non è una moda, è sempre stato il mio modo di affrontare la cucina“. Questo è questo che ho avuto modo di carpire nell’intervento di Alain Ducasse, dato il mio pessimo francese e l’impossibilità di recuperare le cuffie per la traduzione (ero in ritardo e non ho fatto in tempo, lo confesso).

 

  • Il territorio offre ciò che il cuoco vuole fare e trasmettere“. Un falò, l’insalata che si ricopre di fuliggine e l’idea creativa per un nuovo piatto. Sapori d’oriente sapientemente mixati con la tradizione locale e la stagionalità. Questo è  Enrico Crippa.

 

  • Tutti i soldi che potrei spendere in pubblicità scelgo di investirli sui miei clienti. Il cliente è il vero focus su cui puntare“. Lui è Brett Graham, australiano trapiantato a Londra che di un pub ha fatto un locale da stelle Michelin. «Il primo giorno di lavoro tirai una pacca sul sedere allo chef: ‘ehilà, come butta oggi?’ Lui mi prese da parte e mi disse: ‘cosa diavolo credi di fare?’. Non avevo idea delle gerarchie alla francese».

 

  • È possibile sfruttare nuovi metodi di cottura per realizzare i piatti della tradizione. 11 minuti per una pasta all’amatriciana con ingredienti a freddo dentro alla pentola a pressione. “Se la pasta la preparassimo così risparmieremmo 17 miliardi di litri d’acqua all’anno“. Le risorse del mondo stanno cambiando, questo è un nuovo modo di gestirle secondo Davide Scabin

 

  • Il cuoco deve usare la tecnica per portare la natura nel piatto“. E Norbert Niederkofler lo fa davvero: gliel’ho sentito dire mentre ricreava sassi commestibili grazie alla cucina molecolare e alle risorse della sua amata montagna.

 

  • Ho sentito crescere la responsabilità. Bisogna fare ricerca, perseguire l’onestà, approfondire e insegnare”.  Questo è Niko Romito, un ragazzo di montagna, che ha deciso di mettersi a nudo nel libro 10 lezioni di cucina e che tiene bene a mente la differenza che intercorre tra comunicare attraverso il piatto e comunicare il piatto. Ho visto coi miei occhi una carne cotta che sembrava cruda, nel pieno rispetto del colore naturale e della consistenza della materia prima. Sbalorditivo davvero.

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  • La cucina del sud è piena di pregiudizi, ma le differenze culturali e religiose arricchiscono, regalando un’anima profonda alla cucina. “Bisogna sporcarsi le mani e tornare alla terra per comprendere e cucinare“. Lui è Sean Brock, il profeta della grande cucina degli Stati Uniti del Sud, a Charleston.

 

  • Quando senti che è giunta l’ora di camminare sulle tue gambe, lo devi fare,  anche se sei il braccio destro di Gordon Ramsay e guadagni 350.000 € l’anno. Jason Atherton, una ventina di ristoranti nel mondo, la prima stella Michelin ottenuta dopo sei mesi dall’apertura del primo ristorante e la capacità di valorizzare e far crescere il proprio staff spingendo i propri chef de cusine a realizzare il proprio sogno.

 

  • La mela, declinata con tecnica, esperienza e conoscenza personale. L’attenzione di di Heinz Beck è sempre puntata su una cucina ottima – gli è valsa tre stelle Michelin – il cui focus è imperniatoo sulla salute e sul benessere. “Anche le piante sono dotate di intelligenza emotiva: hanno l’esigenza di essere trasportate e usano l’uomo come vettore. La mela è entrata in relazione con l’uomo attraverso la sua dolcezza, fonte di forza energetica e motore della sua diffusione“.

 

  • Odio il peperoncino ma uno chef non può porsi limiti. Il capire e la passione sono gli ingredienti necessari alla propria crescita “. Così Gianluca Fusto ha preparato il suo dessert, Eleganza, sfidando la vendetta della capsaicina dopo essersi  per sbaglio sfregato gli occhi. Per me lui rimane il genio assoluto dell’arte pasticcera. Non ho dubbi al riguardo.

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  • La cucina delle isole Fær Øer – terra del forse perché il clima è imprevedibile – e’ modellata sull’estremo: fermentazioni, km Ø e natura. Anche le uova non sono semplici uova: al Koks usano quelle delle coccinelle di mare, che vengono recuperate in arrampicata dai pendii scoscesi delle scogliere. Qui persone e animali vivono con ciò che la natura offre spontaneamente. Così, a Identità Estreme, ho mangiato la carne di pecora – 7 anni di età – fermentata al vento per 6 mesi  di Poul Andrias Ziska e un’alga che, sorprendentemente, aveva il sapore del tartufo.

 

  • Challenge your taste. Questa la filosofia di Roberto Flore che ha scelto la strada della ricerca al Nordic Food Lab, l’ente no profit voluto e realizzato da René Redzepi. Ciò che lo ha spinto a lasciare l’Italia è stato un forte desiderio di scoperta di un territorio con prodotti eccezionali, spesso esportati o svalutati a causa di pregiudizi alimentari e di difficili manipolazioni. Stagionature, fermentazioni, muffe, lieviti e  insetti ora sono il suo mondo votato alla promozione della diversità del gusto. “Quanto è onnivora la curiosità“? Molto, azzarderei in risposta, dato che ho bevuto – e apprezzato – il suo gin fatto con acido formico – 64 formiche rufa per ogni litro distillato, ad essere precisi –  e il piatto a base di cuore di cervo affumicato, foglie, estratto di ghiandole di castoro, bacche, funghi e betulla. La curiosità mi ha portato a chiudere gli occhi e ad avere il bosco, in bocca, tutto insieme.

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  • “Il vero chef analizza in chiave critica la materia prima ed è capace di comprimere in un unico boccone tutta la sua filosofia”. Non servono parole per descrivere Massimo Bottura. Posso dire di essermi sentita privilegiata per il solo fatto di averlo potuto osservare mentre assisteva interessato agli interventi dei colleghi, a volte “rubando” qualche piatto dai backstage dei colleghi per assaggiarlo in un angolo insieme ai suoi ragazzi. La lezione che ho imparato fuori palco è che solo ‘quelli grandi per davvero’ non hanno mai paura di confrontarsi e che il segreto del successo è “Mai smettere di essere curiosi!” Stavolta cito me stessa.

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La mia menzione d’onore va alla carbonara con Prime Uve di Bonaventura Maschio di Luciano Monosilio e Alessandro Pipero, non a caso rinominata Carbonuva. Visto che ero tutta concentrata ad ascoltare, per tre giorni mi son praticamente scordata di mangiare. Gulp. La Carbonuva mi ha salvato letteralmente – e con somma soddisfazione – la vita. Ho un unico problema… ne vorrei ancora!

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Questa è stata la mia esperienza a Identità Golose 2015. Per il prossimo anno conto sul dono dell’ubiquità… Dai che c’è Natale di mezzo!!

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